Rivoluzione tecnologica, intelligenza artificiale, big data, internet delle cose, digitalizzazione dei modelli economici, lotta ai cambiamenti climatici, incertezza del lavoro, situazioni di precarietà, sono alcune delle dinamiche – che il COVID 19 ha solo contribuito ad accelerare – che aprono le porte alla casa del futuro.
E come sarà la casa che verrà?
Avrà due forni: una per la pizza e uno per la margherita.
Filippo, un bambino di tre anni (uno dei tanti attori-fruitori della mostra “999 una collezione di domande sull’abitare contemporaneo” svoltasi alla Triennale di Milano) non aveva dubbi mentre nel gennaio del 2018 disegnava, con umile lungimiranza, un ambiente costruito non tanto su volumi intelligenti quanto sulla convivialità, sulla creatività, sulla produzione di esperienze condivise, sulla cooperazione in spazi “we live”. Un prodotto che ormai appartiene al futuro presente del mercato immobilare e che l’emergenza sanitaria di questi mesi ne ha solo confermato la necessità.
Uno scenario che non ha a che fare con il mondo dei metri quadrati bensì con la vita, le relazioni, le aspirazioni: con il diritto all’immaginazione perché la rivoluzione che ci attende sarà poco tecnologica e molto culturale. Ma la novità sotto traccia che possiamo cogliere nell’affermazione di Filippo è che domani non si costruirà più un edificio bensì una situazione. Non sarà un bosco verticale, realizzazione che umilia la sostenibilità sociale, ridicolizza la sostenibilità ambientale, offende quella economica. Sarà molto probabilmente uno spazio fluido, come osserva anche il capo design di IKEA Marcus Engman, con mobili multiuso e che ottimizzerà costi, tempistiche e impiego di energie.
Ma sforzandomi per non confondere troppo quello che accadrà con quello che io vorrei accadesse, è utile ricorrere agli strumenti utilizzati negli studi di futuri. Metodi che ci consentono di immaginare futuri per poi contestualizzarli in scenari da utilizzare per modificare il presente verso il futuro desiderabile. Infatti, il futuro non si prevede si costruisce ma se lo anticipiamo è meglio, come ci ricorda “Noi di Spoiler”, Think thank di futuristi.
Un percorso che ho seguito nel mio project work “Questa casa non è un albergo. È se lo fosse? dedicato alla casa del 2040.
E se fosse un albergo quante stanze avrebbe? E questa è la vera e più difficile domanda. Secondo voi? Sette, nove, venticinque? Per me ne avrà 17, perché 17 sono gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030.
17 obiettivi che impongono scelte collettive che richiedono tre cose: tempo, consapevolezza e consenso sociale. Tre cose che scarseggiano e che difficilmente riusciremo a trovare a livello di Paese nei prossimi 10 anni ma se non iniziamo servirà ancora più tempo. E allora perché non partire dalla casa? Dalla cellula di un organismo vivente che si chiama città?
Inoltre, non possiamo trascurare le dinamiche demografiche in corso. Nei prossimi 25 anni la quota della popolazione con almeno 65 anni raggiungerà il 28% nel complesso dell’Unione, il 33 in Italia.Cresceranno, di conseguenza, le pressioni finanziarie sui sistemi pensionistici e di assistenza già oggi a livelli di spesa pubblica insostenibili. I costi assistenziali che si renderanno necessari non potranno più gravare sulle famiglie sempre più piccole, vecchie e povere. Quindi? Si apre all’orizzonte una possibile “discontinuità negativa”: ampliare normativamente le ipotesi di sudicio assistito. Uno futuro certamente distopico che ci suggerisce di pensare a una CASA che ci traghetti verso un futuro più desiderabile. Una casa non come un ambiente che ci protegge dal freddo ma come acrostico di Creatività, Attrattività, Sostenibilità, Azienda.
Un luogo disegnato per rispondere alle domande di un mondo fatto di complessità sempre più crescenti e di sfide continuamente mutanti. Sarà una perenne start up, progettata come un ospedale da campo dove il rischio delle future emergenze sarà anticipato, la metamorfosi vissuta, il futuro ridisegnato.
Sarà aperta alle ibridazioni tra spazio privato e luogo pubblico; si trasformerà da ambiente domestico ad ambiente d’incontro; genererà welfare garantendo a ogni persona, in condizione di fragilità, una rete di supporto. Questo scenario porterà, altresì, ad immaginare il futuro degli ospedali. Infrastrutture sempre più piccole in dimensioni e altamente specializzate: praticamente delle sale operatorie con laboratori ad alta tecnologia. Una mutazione che comporterà il trasferimento di tutta una serie di attività dagli ospedali all’interno delle case, luoghi che dovranno sopratutto aiutare i residenti ad agire verso il miglioramento delle loro abitudini in un continuum di cura e prevenzione. Quindi il prendersi cura delle persone rispetto al curarle farà la differenza nel futuro abitare collaborativo che sarà orientato prevalentemente a creare legami.
Case, dove anche a seguito della diffusione sempre più incisiva dello Smart working non solo si lavorerà ma dove si incontreranno interessi e passioni sulle quali si costruiranno relazioni professionali e dove i “nomadi digitali” realizzeranno progetti (anche temporanei) adeguatamente veicolati, supportati e organizzati dalla CASA azienda-piattaforma. Sarà una fabbrica domestica a metà tra un garage dove costruire delle cose e un soggiorno dove amici innovativi si scambieranno le idee rimuovendo i limiti alla creatività, sfidando lo status quo perché, come diceva Socrate, la saggezza è sapere di non sapere non credere di conoscere già quello che conosci. Sarà una casa-hub di offerta di spazi e servizi non solo digitali ma anche di soluzioni a piccoli problemi di tutti i giorni a misura di quartiere. Sarà un orto per consentirci di seguire diete a base di alimenti genuini a «chilometro zero». E se oggi possiamo prepararci il pranzo nelle nostre cucine, in futuro avremo anche una fabrication room dove potremo realizzare, ad esempio, le nostre scarpe partendo dalla scansione dei nostri piedi.
Sarà un “giardino ” dal momento che si evolverà, si modificherà, si amplierà o si ridurrà sia nella struttura, in quanto componibile con moduli compatti, prefabbricati, di elevato comfort, sia nei contenuti, con la partecipazione di diversi soggetti.
Sarà come l’anatra-coniglio di Wittgenstein che appare alternativamente anatra o coniglio, un’infrastruttura sociale che vista in un modo dirà una cosa utilizzata in un altro ne dirà un’altra e questa ambiguità sarà il suo driver.
Sara un framework: una cornice di riferimento di una piattaforma aperta dove le innovazioni supereranno le più ambiziose fantasie dei singoli progettisti. Come già capitato nel web accadrà anche nella CASA. Non possiamo prevedere con esattezza quello che succederà ma possiamo solo creare case-piattaforme che facilitino il compito dei costruttori-innovatori.
Sarà, quindi, un’azienda sostenibile, uno spazio fertile agli investimenti in sperimentazioni sociali dirette a sostenere le persone anziane e ad aiutare i giovani; sarà una finestra di possibilità, un link fra le economie green e quelle digitali. Sarà una tecnologia sociale e come tutte le tecnologie dovrà rispondere a due domande. Funziona o non funziona? Quanto costa?
Si aprirà così uno scenario nuovo per il futuro della casa dettato dalla consapevolezza, dalla sensibilità, dalla creatività, dal sogno.
Del resto, scriveva scriveva Giò Ponti – in La casa all’italiana, Domus 1928 – “inseguo il sogno di una casa vivente, silente, che s’adatti continuamente alla versatilità della nostra vita, anzi la incoraggi. Inseguo l’immagine di una nuova società umana: questa immagine non è un miraggio irraggiungibile e sta a noi sognarla per raggiungerla perché nessuna cosa si è avverata che non fosse dianzi sognata”
Fabio Millevoi
Vice Presidente Associazione Futuristi Italiani e Direttore ANCE FVG
Intervista pubblicata su Civiltà di Cantiere 20 giugno 2020