Sui Pedali della libertà è il nome scelto dalla redazione de Il Dubbio per il viaggio di 2000 chilometri in bicicletta di Roberto Sensi che, da Nord a Sud, avrà modo di incontrare gli attori principali del sistema penitenziario italiano: rappresentanti delle istituzioni e associazioni e, naturalmente, i detenuti. Partner di questo progetto l’Associazione Nessuno Tocchi Caino e i futuristi di Spoiler.
Il viaggio diventa occasione per riannodare metaforicamente i fili di un Paese che – come osserva Roberto – “in questi mesi si è dovuto chiudere in sé stesso: una sorta di grande detenzione collettiva che ha cambiato il nostro modo di vivere e di pensare e che nel momento stesso in cui ci ha isolati dagli altri, ci ha fatto capire quanto il contatto con gli altri sia fondamentale. E così le nostre carceri che appaiono come monadi isolate, in realtà sono intrecciate più di quanto si crede alla vita fuori e alla coscienza di ognuno di noi”.
Punto di riferimento costante in questo viaggio resta, quindi, l’articolo 27 della Costituzione italiana da cui partire per immaginare come trasformare lo strumento repressivo del carcere in altro, una leva strategica per una vera riabilitazione: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”,
La costruzione di progetti di riforma è spesso scomoda e faticosa: richiede innanzitutto la volontà di creare visioni alternative, metodi di lavoro partecipativi e decisori che sappiano agire senza assecondare – per meri fini propagandistici – le pulsioni sociali populiste dettate da rabbia e sentimenti di vendetta.
Proviamo allora a immaginare la radicale trasformazione del carcere, iniziando a fissare come finestra temporale l’anno 2040 che ci consente di avere ben vent’anni di tempo per pianificare le azioni necessarie a realizzare quanto immaginato insieme.
Sui pedali della libertà, con i suoi testimoni che verranno raggiunti lungo il percorso, dimostra quindi la volontà di mettere in discussione i modelli esistenti. In questo sta il contributo – metodologico – dei futuristi. Infatti, se si vuole costruire un futuro diverso, occorre in primo luogo esplicitarlo, questo futuro, che passa dunque da possibile o probabile a ”desiderabile”. Nel farlo, spesso ci si accorge che anche per immaginare occorre fare ordine e utilizzare metodi.
Il primo e fondamentale passaggio sta nel sentirsi parte di un progetto. Questo presupposto – nient’affatto scontato – permette a ciascun partecipante di essere e agire come il nodo di una rete, in una sorta di staffetta ideale lungo il percorso di ricerca. Tutto questo potrebbe sembrare molto astratto, ma l’intento è invece molto concreto.
Parafrasando, per arrivare ad essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, dobbiamo prima di tutto immaginarlo, questo mondo dei futuri.
Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Dostoevskij)
C’è la speranza che un giorno ci sia un mondo migliore, senza più prigioni. (Italo Calvino)
Rassegna stampa Il Dubbio:
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